Senza titolo 280

Fighetto pride. 1982, il tunisino FR David, sosia in rayban di mio zio e da non confondere con FR Luzzi, spopola con "Words (don’t come EASY)". La fascinazione angloesotica si ripropone un mondiale vinto più tardi, un quarto di secolo per sfornare l’artista mass-globalizzato che mette d’accordo masse e snob, 70 e 80, Alcazar e Zoot Woman, spiagge divise da steccati di corda e clientela fluttuante che magari non si fa carico del conoscere l’espressione ‘french touch’.

Di Mika cominciò a parlare per primo Max già a gennaio, poi il boom di "Grace Kelly" e i pronostici che non gli davano un’altra stagione. Eppure ieri per dieci minuti "Relax (take it e-e-e-e-easy)" ha vinto facile dalla consolle marina del Big Fish a quella dell’adiacente terraiolo Sand, in casuale successione immediata; ritrovandosi poi nel canto ciclistico di una sconosciuta sul lungomare e, con la sua colla, da ieri nella maledetta corteccia cerebrale che si vorrebbe immune ai tormentoni, e refrattaria a far cant(icchi)are anche quelle canzoni italiane che per propri motivi si sarebbe deciso di no. Non sto parlando di Tiziano Ferro, quello ve lo cuccherete voi.

Così che inopinatamente riesce dove ore di playlist -a parte il caso Ex-Otago, che spezzano il claim di RadioChicco prima del greengrocer più Amato dagli italiani- stranamente non strappano, da Baker Street remix a Riot In Belgium per tacere di Tropicana. E lo vedi dal plauso levato degli indiettari locali accaniti, gente che vive di PJ Harvey o di techno zurighese o di cori della curva bresciana, e pure chiede le venga rappresentata la sabbia-girarrosto in musica a colpi di Bucketheads.

"Relax" è l’apoteosi del pop in maniche corte, con "Here comes the summer" dei Fiery Furnaces staziona borderline a prendere il sole dallo yacht ("fa sentire ricchi") di Federica Moro in "College", arrangiata a un tavolino di plastica mentre si espandono effluvi di anguria o colano i ghiàccioli / che regnano su Ladìspoli.

Tormentone è chi il tormentone fa. E dire che a Italia Wave altri preclari blogger lo bocciarono, preferendogli i pesaaaantii Kaiser Chiefs (nemico ideologico) e le scatologiche autopubblicitarie CSS -sul palco delle quali Mika saltò saltellando guadagnandosi immediata empatia… Il fatto che io abbia seguito la sua performance da lontano, un po’ impegnato a cenare coi ragazzi un po’ dialogando col sodale sulle magnifiche sorti progressive dell’indie italico, non inficia la percezione della voce spettacolosa, della macchina pop, dello show 360° che il tizio ha emanato dal sabbioso palco dell’Osmannoro. Coming out, va bene: this is Sottomarina (bitch), not Jesolo (sucks)!

(ovviamente mi piaceva abbestia, e tuttora, "I just died in your arms tonight" dei Cutting Crew. E pure Black con "Wonderful life", aggiungo. Pre-yacht, molto modamare).

Reunifornication. Tornano IVANALEN. E chi non jump è un catechista.

Per i venturi orfani di Emmaboda-as-they-know-it. Sabato inizia il KroksjoFestivalen, sì lassù nel paradiso in terra. Col suo frukostpop (concerti a colazione nel bosco) e tutto. Anche i tradizionali mp3 fatti a mano, un po’ troppo panc pei miei gusti 😉

OMG. Ambra (sì, Ambra) vedette d’apertura alla Mostra del Cine. Si aprano le porte dei commenti alle valutazioni più bieche, ovvero che mi hai portato a fare in goppa a una comparsata di Ozpetek se non vuoi più bene al cinema?

(Su images di google non si trova una foto del periodo nonèlarai, ottimo lavoro di rimozione da parte del suo press agent, ritengo. In compenso la cartella stampa relativa alla notizia-Biennale riporta una biografia della starlette assai esaustiva e sconsideratamente lunga, che neanche De Niro).

Endorsement. I musicisti alt-jazz e sperimentali d’Italia tentano di fare network: è nata Map of Moods, struttura(?) per incrementare concerti e mutua visibilità. L’enoteca incoraggia (grazie a Michele per la notizia): alcune iniziative sono in atto.

Respect, cosa essere. Fino a pochi mesi fa non conoscevo Antonio "Tony Face" Bacciocchi, padre del mod italiano e capace -come gli Who- di attraversare anche il periodo punk in diretta.

(immaginatevi il tono di Mollica DoReCiakGulp mentre scrivo) Ha scritto "Uscito vivo dagli anni 80",  una bellissima autobiografia rock edita NDA, lui che è ancora in pista come discografico, webgiornalista, organizzatore a tutto campo: è una lettura indispensabile per comprendere la cosiddetta "scena" dal basso, con le sue precarie cene di pizza e le trasferte eroiche.
 
Tony Face cura pure un blog, in cui si diletta a valutare i dischi che gli pervengono, segnala le imperdibili osterie del piacentino e i luoghi per il trekking. Pur avendo musicalmente poco da condividere col suo passato, credo proprio andrò a trovarlo… per dirgli grazie, come dovrebbero fare in tanti. Sono le persone che si sbattono, a portare avanti le cose. Per tutti gli altri.

Il cerchio di questo post si chiude. Lo dico sempre di far attenzione ai testi…
Ti.Pi.Cal. feat Josh, The colour inside. Estate 1995 (Plaza, ma è un’altra storia).
 
Inizia con "People wait for the new century’s miracle", mostrando scetticismo verso le promesse berlusconiane dell’anno precedente.
 
Continua con "People live in a world, only material", che al di là della sintassi ballerina condanna senza tema di smentita il mondo dorato e luccicante della propaganda mediaset.

Avanza infine un "Oh no no no, no, I don’t want to follow that dark inside", schierandosi come l’enoteca dalla parte della Million Colour Revolution.

Abili e arruolati quindi, i compagni Ti.Pi.Cal., nell’autunno caldo di una battaglia che già si annuncia inevitabilmente assieme post-legna e post-yacht, slegata dalle ideologie dominanti destra-indie e sinistra-indie senza buttare l’acqua sporca con il bambino.
Ma che cazzo sto dicendo!
(evidentemente I’ve lost my-y-y-y direction)

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