Senza titolo 72

Namescrausing. Quella dei moniker delle band -va da sé, ind*e– è la favola bella che solletica le più crasse ilarità o i più folgoranti interessi. Quante volte davanti a un browsing ci viene la tentazione di cliccare su quell’unico file della cartella che raccoglie tutti i pezzi senz’album, poveri orfani, solo perché si chiama Mondo Fumatore o Protassov? E quante ancora, saltando nella foresta dei link che parte da un qualsiasi post nel guestbook di quella superba webradio svedese, scopriamo come abbiamo vissuto per anni senza The Early Morning Stillness Is Broken, oppure Suburban Kids With Biblical Name, quando non piuttosto I Love You But I’ve Chosen Darkness? Credo che un nome collettivo sia quanto mai rivelatore -e più è lungo più dice- salvo scoprire come a volte dietro indicazioni abbaglianti si nascondano fetidi portatori di cattiva musica (cit.)… Per mio conto, pur non avendo mai imbracciato nè tasteggiato nè pestato un qualsiasi strumento (strano, eh?), vorrei tanto fondare i Teletext Maniacs… o i Zeegoolee Candies… naturalmente indiepop zuccheroso…

Pro e contro. Renzo Stefanel, recensendo per Rockit il live offlago di venerdì, usa parole esagerate nei miei confronti, che bucano la soglia del mio imbarazzo soprattutto perché pubbliche. La stima è sinceramente ricambiata. Grazie, amico.

Mentre mettevo brodaglia sotto forma di disco, domenica verso sera, mi si avvicinano due baldi ragazzotti da tempo larvatamente antipatizzanti nei miei confronti, un po’ piccati dall’aver letto -con anni di ritardo- il mio pezzullo a tema ciosoto su venessia.com… dimostrando così che quanto è scritto è tutt’altro che falso. Avessero almeno interpretato le parole col giusto spirito (a cominciare dall’ospitalità offertami da un sito che sa anche essere ironico e autoironico), mi avrebbero riconosciuto -tra le righe è assolutamente percepibile- un dissimulato orgoglio di far parte, se non di questa socìetas, almeno di queste mura: diverso come sono dal fenotipo veneziano, ma veneziano di fronte al mondo. La riprova nell’ilarità con cui i lavoratori ACTV -all’80% clodiensi- hanno affisso nella loro stanza alle Fondamenta Nove una stampa del pezzo, e nell’apprezzamento di altra giovane concittadina lettrice del sito di Stefano Soffiato. E non c’è niente da capire, come diceva quello.

Uhm

vabbè… è tornato… ogni stop è solo un altro start, si sa. Gùd lach, Enzino Potlach.


L’estate non esiste, è solo un inverno meno freddo.
Non so come valutare il fatto che questo mio 2005 sia caratterizzato per la più parte da ascolti folkpop, folktronici o comunque lontani svariate entità di tempo-luce dalla fregola da dancefloor che pare avere assorbito tant* stimat* collegh*. Tant’è, ‘Mugimama, is this monkey music?’ di Mugison mi stende con due mosse, calando dall’Islanda-tierra-querida col suo bagaglio di strumenti da palco -Enrico dei Gund ne narra mirabilie, in versione live- e di pelle d’oca. Salvo qualche eccesso rumorista, il paradigma dell’album della maturità è condensato in ‘What I would say in your funeral’ e soprattutto da ‘2 birds‘, toccante elegia a due voci. Scacco matto. Ah, curiosissima la copertina, che a noi chioggiotti ricorda i quadri di Walter Pregnolato 🙂

Effetto invece di consueta perlustrazione quasi notturna la scoperta del gallico Domotic, il cui accattivante nomignolo (e dalli) rimanda coscienziosamente a un uso casalingo dell’elettronica. Infatti l’ascolto del nuovo  ‘Ask the tiger‘ non tradisce, partendo Casiotone4tPA e finendo M83, rivelandosi insomma un elettropop non convenzionale e tutto sommato rinfrancante. Risonanza Magnetica per recensire il precedente ‘Bye bye’ riporta quanto altri (Neural, Kathodik) hanno detto, chiamando in causa "il dream pop anni ’80 attualizzato da glitch e micro-beat, fra analogico e digitale, le ballate folktroniche degli Yo La Tengo o le recenti armonie di Dntel, sembra seguire la strada dei gruppi della Morr Music (ed in particolare degli Isan) arricchendo i loop elettronici con la grazia dei tiny-sounds su pro-Tools". Pare quindi che questo Stephane Laporte abbia fatto centro: ad ascoltare ‘I hate you for ever‘ l’apertura di credito si concede senza difficoltà.

Chi può vada!

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