Senza titolo 49

Totale. E’ domenica, e si parla di calcio. Durante la settimana è passata praticamente sotto silenzio la notizia della scomparsa di Rinus Michels, una figura miliare nella storia del calcio. Un rivoluzionario culturale, un lungimirante apostolo del calcio giocato. Nel senso di organizzazione di squadra, di sovrapposizioni, di fughe dai ruoli, di accerchiamento e assedio, e spettacolo. Se in Italia è corretto parlare di prima e dopo Sacchi, in Europa lo spartiacque è l’Olanda 1974. Una squadra che strappava una delle tre righe adidas dalle maglie arancio-arancio prima di una finale mondiale, che indossava collanine etniche e faceva sesso prima delle partite, in ritiro-non-ritiro. Dei geniacci della bella vita, come avrebbe voluto essere il patetico Vendrame visto a Sanremo. Lasciò dopo gli europei dell’88, unico titolo vinto dalla nazionale orange, consacrando campioni immensi, a loro volta oggi stimati allenatori. Ai sostenitori del catenaccio e contropiede una pernacchia, a Rinus una commiato deferente.

Parziale. La mia squadra ieri ha vinto una partita grazie a un paio di reti irregolari. Orsù, l’ho detto. Però, a differenza di quanto mi càpita con la cosiddetta politica (nella quale ho assodato che vincere per vincere non vale e non soddisfa), a me interessava uscire dall’Olimpico coi tre punti comunque presi. Perché troppo male mi hanno fatto le quattro dita puponiche sventolate sotto gli occhi di Igorone Tudor la scorsa stagione, e perché fin che c’è chi vince tutte le partite al 90° e oltre, o su autogoal, o su rimpallo fortuito, allora sta bene anche così. A brigante, brigante e mezzo.

Quello che volevo dire però è altra cosa. Il fuoco di fila dell’indignazione popolare(?) per la faccenda Epo vorrebbe che si sottraessero alla FC Juventus 1897 i titoli conquistati dalla stagione 1995 alla stagione 1998. Senza assegnarli al secondo o al finalista, solo per poter dire che una squadra che ha tonificato i muscoli doloranti dei suoi giocatori con una pomata o una puntura è una ladra di legalità, una frode ambulante ai sacri valori dello sport (volendo si può stilare una sfilza di violazioni compiute da altri team, ben più gravi). Bene, io non ci sto. Perché me lo devono proprio dimostrare che Vialli ha segnato in rovesciata contro la Cremonese nel 94-95 perché imbottito di farmaci, o che Paulo Sousa lanciava la palla perfettamente sul piede di un compagno a sessanta metri di distanza perché euforizzato da una medicina, o che Del Piero stese l’Hellas Verona dal limite dell’area nel 95-96 perché l’uccellino gli aveva portato la droga, o che Zidane dribblò mezza Ajax nella semifinale di Coppa Campioni del medesimo anno perché le escargots di cui notoriamente si ciba sono psicotrope. E via così. La Juve non è solo la sua dirigenza -peraltro più onesta di quella milanista, esperta nell’intromettersi in affari di mercato già conclusi o nel gonfiare la panchina di elementi sottratti ad avversarie col solo scopo di toglierli dal mercato- ma anche un sèguito di milioni di persone in Italia e nel mondo; è paolorossi e totoschillaci, ovvero il come siamo ancora riconosciuti all’estero (prima di Berlusconi, almeno); è me che vado a Udine senza speranze, il 5 maggio 2002, con l’intenzione di vendere il biglietto, e invece entro, guardo, strabilio ai risultati per radio, salto (e con me Maresca dalla panchina), vinco uno scudetto, faccio il corteo in autostrada, incredulo, e vado a vedere i Notwist. La Juve è Platini e Sivori, è il terzino campagnolo Luciano Favero che mette la museruola a tutti e l’ala di punta ciosota Nico Penzo che fa quattro goal all’Ascoli e poi sparisce. E’ il sogno del bambino, le figurine più ricercate, Romeo Benetti e Beppe Furino. E’ un secondo portiere che non gioca mai. L’invidia degli iloti e l’orgoglio di chi l’ha scelta. Zlatan che ride e urla il suo nome dopo un goal. E’ mio cugino, battezzato a sette giorni con la sciarpa sul letto: sarai uno di noi. E’ l’universo che ti dà la possibilità di scegliere anche una parte di cuore territoriale cui affezionarti, senza conflitti d’interesse. E’ quel goal di Laudrup a Tokyo, e quella parata di Peruzzi a Napoli su Aglietti, a mano aperta. E’ ZoffGentileCabrini, sei campioni del mondo nell’82 come nel ’34, nove azzurri nel ’78 in Argentina. E’ aver sopportato dieci anni (quelli formativi: dai dodici ai ventuno) le vittorie più estemporanee di Napoli, Samp e -addirittura- Inter, e il dominio di Galliani. E’ la squadra di tutti i capi operai e sindacali, e dei segretari del PCI. E’ il corridoio del liceo D’Azeglio, una camicia rosa con cravattino nero, però stanno arrivando le maglie da Nottingham… Giù le mani dalla Juve!

Mezzala. Non ho mai parlato del fatto che mi piacciono, e tanto, i Numero 6. Più che altro non sono riuscito mio malgrado a testimoniare questo coinvolgimento nelle famigerate classifiche di fine anno, perché ‘Iononsono’ uscì nel 2003 ma io l’ho scoperto solo nel gennaio 2004 grazie all’amico Michele/Racecar. E quindi non potevano stare nella playlist dell’anno da poco conclusosi. Devo dire che non avevo mai concesso *troppa* attenzione ai Laghisecchi, band genovese della quale i Numero6 possono dirsi quasi una filiazione. E non per loro scarsa qualità (‘La calamità’ è una bossa liquida e spaziale per i tempi moderni che tanto spazio ha trovato in certi miei set), quanto piuttosto perché sul finire dei ’90 ero più spesso in altre musicali faccende affaccendato. Mentre l’ascolto dei Numero6 ha cominciato col crescere e monopolizzare non poche mie giornate della scorsa primavera, grazie a un sound scorrevole e incisivo, e a liriche spiazzanti e assai lucide, nota non comune nell’indiepop italiano. Certi loop di tastiera erano assassini, così pure testi come quello di ‘Talking’, ‘Le polluzioni notturne’ (sic), ‘Ho processato un suono’.

I tempi sono maturi per la seconda prova, per il ritorno. E quindi sono assai felice di presentare ‘Esagerando‘, il singolo del rilancio, ricevuto fresco come un uovo proprio da Michele Bitossi. Il primo ascolto parla di una potenziale bomba, tra riff 80 (i Righeira di ‘Eh eh bue fratello / più sono brutto più mi sento bello’ vengono in mente solo a me, all’inizio?) e attitudine da dancefloor italico. A nobilitare i ritmi, un testo autoevidente che dice Ammiro di me il fatto che con poca difficoltà / sopporto l’idea di darmi ancora in pasto a chi altro non è / che un flaccido eroe per millecinquecento stitici nerd / Non serve, lo so, però desidero informarvi che lui / ci si galvanizza con risate degne di almeno un litro e mezzo di merlot… e non si può non apprezzarlo, da queste parti… Rimarchevole anche la policy che il gruppo intende adottare in questa occasione: farsi veicolare dai blog, diffondere orizzontalmente, creare ascolto indipendentemente da una casa discografica. Loro l’hanno capito, e sostenerli in questa maniera diventa un gioco da ragazzi. You are Number One!

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