Senza titolo 50

Guerriglia semantica / 1. Stavo recandomi ieri pomeriggio ad assistere a una conferenza dell’amico filosofo Enrico Bellinelli, come al solito costeggiando in bicicletta la laguna interna. Non ho potuto non gettare gli occhi su una delle tante scritte adolescenziali a pennarello che deturpano il muretto che divide la terra dall’acqua, sia perché questa scritta era in un formato tanto visibile quanto -va da sé- nocivo, sia per il messaggio che recava. Essa diceva: "X (non è per la privacy, è che proprio non ricordo il nome, ndE) tvb per sempre e oltre". Ora, tralasciando la sigla con la quale anch’io -che adolescente non sono più da un’età pari a quella della media adolescenza- concludo accorati messaggi, che so, a David Trezeguet, il focus si sposta sul concetto finale. Per sempre e oltre. Di sicuro fior di semiotici hanno pubblicato saggi sulla sms-generation, sull’abilità di scrivere in 160 caratteri e quel che ne consegue in termini linguistici. Ma qua si va, appunto, oltre. Non c’è mai stato nessuno, genitore, docente o precettore, che abbia spiegato a questa ragazzina che ‘sempre’ include qualsiasi ‘oltre’? Costei si potrebbe ritrovare a scrivere così anche in un tema d’italiano, o in un colloquio per un lavoro. E questo senza estendere la valutazione in questa cinica sede alla labilità del ‘per sempre’ quando si parla del cosiddetto amore, ché se ne accorgerà da sola di quanto abbia ragione Manuel Agnelli. Il ritorno del quale ultimo, imminente, si attende con calore.

Guerriglia semantica / 2. Sempre più spesso nei resoconti di chi va ai concerti o a serate con deejay, per non parlare di lanci d’agenzia di promozione o cartelle stampa fantasiose, ci si imbatte nella locuzione ‘muovere il culo’ o, con un inglese fintotrendy, ‘shake-ass’ per indicare un pezzo o un artista che hanno le proprietà per far ballare. Appurata la mia estraneità a questa scena (era da tempo che non usavo questo vocabolo famigerato), mi chiedo perché si insista a considerare il sedere come luogo motore, quando chiunque metta piede in una sala da ballo anche dopo un concerto indie si accorge facilmente che è tutto il corpo a scuotersi, le gambe andare per i fatti loro, le braccia mulinare o avvolgere l’aria. Non è tanto la volgarità che contesto, quanto il subliminale riferimento parasessuale del tutto inutile. Chi balla alla maniera degli Anni Ottanta (rigidità, scatti meccanici a seguire le variazioni di synth) è da tale locuzione tagliato fuori in partenza. Pare quasi sia diventata una filosofia di vita, muovere il culo, le serate per muovere il culo, il dj che fa muovere il culo, si balla solo muovendo il culo, se un pezzo fa muovere il culo è ok (volevo scrivere cool ma ho desistito), altrimenti è palloso. Ridateci (si fa per dire, io non l’ho mai fatto) il buon vecchio pogo, il girotondo e quant’altro volete, ma cari copy ora che avete sdoganato il culo evitateci lo shakeass. O almeno siate creativi, non omologate il linguaggio… dovrebbe esservi facile, no?

Guerriglia da farsi. La mia sopportazione nei confronti di chi acquista e indossa pellicce animali ha oltrepassato il livello di guardia. Non passa giorno che col mio potente mezzo (rugginosa Bianchi di proprietà di mio zio) non sfiori anziane matrone recanti lucidi corpi di visoni in numero di cinquanta o cento per volta, al solo scopo di coprirsi e ostentarli nel fare un giro di piazza. Diviene automatico gridare fra i denti: brutta troia, io adesso te la strappo e te la brucio. Non servirà a ritornare in vita migliaia di povere bestie, ma almeno (la) paghi due volte, infame che non sei altro.

Per non dimenticare. Madrid-Atocha, 11 marzo 2004.

Vive la France. La pesca a bilancia nel mare magno di soulseek porta in superficie varie qualità e pezzature di suono, ogni tanto càpitano anche ‘pesci’ inattesi e tutti da verificare, con maggior soddisfazione al momento della degustazione. E’ il caso di Daniel Darc, già icona della wave parigina con i Taxi Girl nei primi Ottanta, poi rimessosi in pista da solo dopo le traversie più tipiche di chi faceva musica ‘militante’ all’epoca (alcool, droga). E’ tornato l’anno scorso con ‘Crève coeur’, proponendosi come un fratello minore di Gainsbourg o uno zio giovane e scapestrato di Benjamin Biolay, trasudando francesità da tutti i pori: il cantato sommesso di un Tiersen, la sacralità dei chansonniers da teatro, un accenno di sixties French pop e un utilizzo discreto di sequenze un poco elettroniche. Ecco tre esempi (grazie a Frittole).

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