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Un weekend postmoderno. Ho come l’impressione che questo post potrà essere lungo e anche divagante, se non arzigogolato. Sarebbe successo ieri, d’altronde sia Splinder che il mio pc usurato hanno boicottato.


Vi avevo lasciato che andavo a conferenziare sull’aria fritta al cineAstra del Lido, giovedì. Dopo un curioso divertissement su Venezia captata dal piano visuale dei colombi, mi sono parlato addosso davanti a 50 persone per lo più sbadiglianti, sulla logistica sugli aiuti e blablabla. Uscitone, noto in ferryboat una giovane isolana d’oggi che parlava con nonchalance a una coetanea riguardo all’imminente piercing sulla lingua. Roba che io già tre giorni prima di andare dal dentista per un controllo me la faccio addosso.


In quel mentre, pregustando il sonno de’ giusti, mi squilla la boss di questa baracca qua, chiedendomi se potevo sonorizzare, la sera stessa, il post-vernissaggio di Radar Infopoint… come faccio a dire di no? Non solo per le stringenti questioni di budget, sed etiam per l’abitudine ormai invalsa a prendere parte a questi happening, nei quali chissà mai incontri la persona giusta per un futuro professionale… e invece, oltre agli artisti che sciorinavano i loro video su Venezia -gli ennesimi della giornata- nel chiostro dello splendido Telecom Future Centre, già celebrato su questi fogli, ci stava la solita, e stavolta del tutto inattesa, pletora dei presenzialisti del centro storico. Individui atomizzati che si radunano in molecole appena sentono odore di spriz. Le subcelebrità cittadine, dico. I videoartisti, i giovani scrittori, i new fumettisti, i mecenati di sinistra, i creativi, gli assistenti universitari, i produttori, gli importatori, i pusher, i consumatori, i travestiti. Codeste subcelebrità cittadine stanno a quel che si è visto là dentro come un cappotto a luglio, e contribuiscono a farmi pensare che si stia abusando di ‘arte contemporanea’, in giro. Dovunque mi giro. Spesso senza un austero e rigoroso senso di quello che si fa, il più delle volte come specchio per le mosche da bar, per le allodole alcooliche che lungi dal distinguersi si appiattiscono. Finito quest’odioso pamphlet, mi rimetto in carreggiata dicendo che, data la sguaiatezza dei volumi e la sproporzione dell’impianto celestiale a mia disposizione (per un’ora sono stato da solo in un quadrato colonnato, tra le mie mani una consolle principesca posata su un broccato rosso), così inusuale ed eccessiva per quel pubblico, dopo aver acclimatato con l’electro gentile ho deciso di foderare l’aria con la musica più ignorante degli Anni Ottanta, ottenendo attenzione ballo e risate finto spocchiose, interrotte dalle solerti forSe dell’ordine venute anzitempo a godersi il party a loro modo. Un party fra l’altro privo, inverosimilmente, del consumo di droghe, o almeno della loro percezione olfattiva.


Il ritorno a piedi una volta attraversato il Ponte Più Bello Del Mondo avrebbe dovuto essere piano, ma si è reso sdrucciolevole dal reincontrare la stessa micromarea in un locale di recentissima apertura (ma già hyped, a quanto pare), che il buon Cesco definirebbe sicuramente ‘radicalchic’: tra tagliate a venti euro accompagnate da mille salse, cocktails dai colori improbabili, abbinamenti alimentari a metà tra il Vissani più ardimentoso e i tedeschi in vacanza in riviera, le note di Blondie sparate a volume tollerato cullavano la prima notte di chi non voleva andare a dormire, conscio che di mattina non avrebbe avuto niente da fare. Fra questi, appunto, gli art-makers e i sedicenti tali, e un dodicenne sveglio, figlio del gestore di un dei locali ove ho suonato, futuro disc jockey (ha preteso dal padre l’impianto più bello in commercio come regalo per i dodici anni) e fonte inesauribile di domande a cui neanche i tecnici della Nasa saprebbero rispondere. Ebbene, questo precoce miliardario sciorina la rivelazione della serata: essendo che mi stava scadendo la batteria del mio comune, ordinario portatile, costui dice che oggi non è più necessario avere un caricabatterie collegato ad una presa di corrente elettrica: si fa con questo trabiccolo a manovella… inutile dire che per provarlo e mostrarlo al volgo suo pari mi segue come un parassita -o come un calciatore nella pubblicità Sky- girando con la manina a velocità vorticosa. Mi astengo dal dirgli che non funziona, che la corrente indotta basterà fino alla prossima calle, e soprattutto gli taccio che c’è un mio amico sul web che si pasce nella ricerca di questi prodotti. Temendo seriamente di perdere l’ultimo pullman per la laguna sud, e avendo da (far finta di) lavorare l’indomani all’alba, corro col trolley per l’inospitale selciato di San Polo e Dorsoduro, evitando di soffermarmi sulla lettura dei ciclostilati affissi che promettevano una revisione del trattato del 1866 che regalò Venezia ai Savoia, e non considerando i richiami allettanti di tre giovanotte, probabilmente spagnole, che avevano bevuto un po’ troppo.


Torno la sera dopo, a spinnare dischi al Chet, buco grazioso e zebrato che promette di funzionare per tutti i prossimi mesi. Il gestore è di una cordialità unica, e lo scopro downloader… razione di spriz oltre al consentito, polpette arricchite di formaggio fuso, rosmarino e cosparse di salsa di pomodoro, francesi convinti dalla selezione imbastita al momento solo per loro.


Per fortuna sabato riesco a salire in Friuli, grazie al su nominato Cesco, e con il motivo dirimente dei SOFT CELL, che hanno performato in formazione originale alla Fiera della Musica di Azzano Decimo. Mi avvicinai ai suoni sintetici del duo tanto tempo fa, ma il primo disco intero lo ebbi solo una volta a contatto con la prima Free K House: ‘Non Stop Erotic Cabaret’ mi confermò che quel genere di suoni mi si confaceva d’altronde mi stavo invasando coi Bluvertigo e pezzi come ‘Memorabilia’ (con cui hanno aperto il concerto) e ‘…So’ si sarebbero sedimentati negli anni e nelle playlist delle festine non autorizzate. Bene ho fatto quindi a volerci essere, soprattutto perché Marco Mandorla era in forma assai, come Jimmy Sommerville -col moniker di Bronski Beat- visto due anni fa a Marghera, asciutto e carico, pareva Linus o uno dei supergiovani della tv… solo che si percuoteva il ventre col microfono, e si frustava con un mazzo di rose… proprio non lo ricordavo, all’ormai universalmente nota tappa clodiense del Festivalbar ’90… Il socio Palla ci dava dentro coi bassi campionati, ha fatto un’ora di act in un palco enorme per due persone -ma prima c’erano i Prozac+… perfino lo stesso merchandising del loro boom datato 1998, le maglie col numero 9…- tralasciando la mia favorita ‘Entertain me’ ma concedendo al pubblico gli hit storici Sex Dwarf, Say Hello Wave Goodbye e, vabbeh, l’abusata Tainted Love. Per fortuna il pubblico convenuto in quell’inospitale spiazzo di soli sassi conteneva un numero di dark minore di quanto temuto…


Al termine ci si è messi soddisfatti in marcia per il vicinissimo Foodstock di cui anticipavo: alla mezzanotte suonata si era ancora al terzo o quarto gruppo, in un’atmosfera caotica e dirty, di chitarre cling-anti così poco vicine al mio significato di indiepop. Ho avuto modo di vedere i Vertigine e dopo di loro una rock’n’roll band, prima di pulirmi le orecchie coi noti Franklin Delano, che avevano fra i supporters d’eccezione parte delle etichette venete, con tutte le loro distro. Dal momento che gli attesi Redworm’s Farm (bellissima la copertina digipack del recente split coi Paper Chase per RobotRadioRecords di Stefano Paternoster) avrebbero suonato a notte veramente fonda, siamo tornati a Mestre con gli occhi gonfi di polvere, e il pensiero alla squadra di fantacalcio.


Ieri infatti è iniziato il campionato, e a prescindere da come finirà, cioè con l’immancabile vittoria del Milan, per me è già una rivoluzione: per la prima volta un servizio acquistato sul web funziona, trasmettendo immagini e cronaca fluida e non fotogramma-per-fotogramma. Parlo ovviamente dello streaming di RossoAlice, mediante il quale pagando otto euro a bimestre posso seguire in diretta -sfalsata invero di due minuti- i match casalinghi di dieci squadre di A e cinque di B (tra cui il VeneziaMestre!)… le mie brumose domeniche pomeriggio non saranno più le stesse, sdraiato sul comodo lettuccio di quando ero bambino, e pronto ad accogliere gli ospiti, osservando il volteggiare aereo di Emerson Ferreira Da Rosa e la sicurezza acquisita da quel(l’ex?) broccone di Jonathan Zebina…


Sono il solito illuminista. Ieri mattina scendo a prendere la nutella e altri generi di prima necessità, e mi imbatto nello sciame che va a messa. Cosa ovvia, essendo le undici della domenica. Osservando tra la folla tant* giovani mi è venuto di pensare che se io fossi un pubblico amministratore organizzerei delle laiche domenica mattina con attori, lettori, docenti, artisti, a leggere pagine importanti della nostra storia, o di opere di letteratura immortali. In piazza, così. Con un leggìo. Si chiama ‘costruire una comunità’, restituendo a tutti quello che a tutti appartiene. Come quel brillante amministratore di Bologna che si proponeva il ‘battesimo civico’ per i nuovi nati, subito sconfessato dal resto della giunta di Padre Cofferati.


Nella blogopalla. Saluto l’ingresso di un blog a firma www.indiepop.it, e l’approdo di Emiliano & Max La Pop all’m-blog, di recente esploso anche in Italia grazie alla divulgazione fattane in primis dal BDD. Mi piace ricordare che fino a poco fa anche Fluo elargiva via blog un mp3 al giorno, anche più… basta guardare il suo archivio (poi li toglieva…). Ne fossi capace, li avrei già utilizzati pure io. Ma non so nemmeno cuocere gli spaghetti.


E però… Max… non può finire qui, ma tu davvero vuoi, buttare via così, (più di) un anno d’amore?






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