Senza titolo 5

Cannaregio Boogie Nights. A Venezia quando si arriva è come tutte le altre città. Una ferrovia coi binari in fila, tutte le uscite parallele, senza sottopassaggi. Un atrio vecchio immette nel porticato, gli scalini guardano in fronte gli altri scalini, quelli della chiesetta di San Simeon, che dai tempi di Tondelli ne ha visti di culi flaccidi di americani, torniti di nordici, spanati di punkabestia sedervicisi e appoggiarvi di tutto. A intermezzare, quel tratto di canalgrande più sporco, per i reflui del vaporetto e dei trasportatori. Chi esce da là non ha in mente una musica, ma solo il candido stupore degli occhi, prima che la ressa lo spinga comunque fuori, via, altrove, altrove dai 5 euro per un biglietto di battello non residenti, altrove dai venditori di tutto, dagli scatolettisti, dai finti peruviani con strumenti sintetizzati. L’unica via di fuga è a sinistra, alla Lista di Spagna da percorrere col portafoglio nelle tasche davanti, il chaos ti porta a sentirti solo lost in translation, e gli Skanfrmom di Electronic Supermarket ti rimbalzano fin che non raggiungi la strettoia prima del ponte delle guglie. Fin che sei di là, nessun problema. Quando lo sali, ti avvedi della luce accecante dalle fasce laterali, e del disastro mercantile che ti si apre davanti in San Lunardo preludio a Strada Nova (che tu ovviamente non sai). Eviti, per precauzione, in fondo non è per questo che hai scelto di venire a Venezia, e lasci quegli Olodum (Reconvexo, nello specifico) che ti accompagnerebbero tanto lontano, sporgendoti dal ponte verso la fondamenta della pescheria, il sole in faccia, Mestre invisibile, mattina con l’oro in bocca di Monochrome di Yann Tiersen… e cammini, cammini, ti lasci alle spalle l’accesso al ghetto per deviare da un sottoportico solitario più avanti, quasi ai Tre Archi, quasi ai canottieri dell’ex macello, dentro la Venezia più indie e disarmante -prima che Soldini ricavasse sangue dalle rape. San Girolamo, e non sai dove sei, caseggiati popolari, sonno, anziane, edifici fascisti, e Piero Ciampi / Te lo faccio vedere chi sono io a dirti che qua i nippon ma anche gli italiani non ci vengono volentieri. I sandali cominciano a farti male, ma non hai scampo: un ponte, una calle stretta, un rio solcato da un mototopo di grosse dimensioni diventano la tua cifra, i resti del convento delle cappuccine ti immettono nella smagliante Fondamenta degli Ormesini e della Misericordia, disabitata e brulla di pomeriggio, ardente Quartiere Latino la sera, sia quando la pòpolano eventi di http://www.attualamente.org o meno. Ti stupisci solo ora di questa città senza macchine, dove imberbi siedono in riva davanti Aldo strimpellando nella tua mente Kustino Oro della Kocani Orkestar, che qua è di casa, trascinandoti fino alle porte del Paradiso Perduto, la calca per uno spriz, nello stesso mood ininterrotto. E scànsati, al passaggio di un carretto tirato a mano, nel posto più bello del mondo. La fine è segnata da un ponte senza spalliere, la Strada Nova bottegaja da evitare come la peste (echi di commercialità assortite, mix di Dragostea più vecchi blues sempre à la page), la solitudine della zona dei Gesuiti, un cielo bigio se non bianco, lanterne rosse sfrigolano per ore senza mai accendersi, davanti a te solo il monsone, l’estremo, Murano che perde pezzi per strada (leggi: vetrerie che chiudono come fabbriche negli anni 50). Sei alle Fondamenta Nove, laguna aperta. E hai voglia di cercare un glitch, per esempio Fennesz che vi ha suonato o i Matmos che suoneranno lunedì. Siediti a quel covo di bucanieri e lascia parlare il vento, come piace alla figlia di Morgan: chissà quando ti ricapiterà, di poterlo ascoltare senza altri fruscii meccanici, e di poterlo respirare puro e insaturo, come di vita nuova.

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