Senza titolo 291

 

Se al posto di questa augusta scappatoia ci fosse stato il post che preventivavo da prima del telecom takeover (ovvero un riassunto ultime uscite con giudizi sommari & mp3 a corredo), il post si sarebbe dovuto chiamare "Come Sabani prima di Pavarotti": il ritorno dell’adsl (20 mega tua sorella, per la precisione) a Ca’Enver rappresenta infatti il classico vaso di coccio tra i ritorni dei Radiohead e di Fabio De Luca, quasi la dimenticabile morte in minore di un guitto televisivo & puttaniere nei confronti dell’eroe lirico nazionalpopolare.

Invece posso tuttora sfangarmela così, nei tempi morti(?) di un articolo EPolis e della neonata cura dell’agenda eventi per Il Venezia, tra una direzioncina artistica e una lista di Schindler da stilare per la quale, magari, qualcuno mi ringrazierà. Senza contare l’approdo, finalmente, di "una certa iniziativa" e la pubblicazione simultanea di a) Bloàp 113 di ottobre coi miei pezzi su Iron & Wine ed Amari; b) Rockit Mag 41 (sampler) col mio reportage dalla terra del frico e della frice; c) il quinto podcast di Mogli E Buoi sulla radiozine di Blow Up.

A sinistra campeggia l’immagine della camera da letto, quella nella quale trascorro le poche ore notturne, i minuti della vestizione e della scelta cd per la borsa del mattino (oltreché per i digei set: sabato si va a Udine a riformare La Magica Triade enver-soundveritégigipatruno e inaugurare lo Zoo di via Fiume, già Pabitélé). I quali dischi -una misera parte dei quali- si intravedono nel cassettone, mentre a terra poggia la borsa che dissi non avrei più utilizzato dopo l’ultimo Miami (e invece); quella modesta tv Schaub Lorenz è usa irradiare le immagini di ceffi quali Chirico, Sarugia, Corno, Crudeli etc non essendo manco dotata di televideo. Le due lampade muranesi -se ne vede solo una- illuminano il cavalletto dei vestiti: al momento della foto, blazer "da azienda trasporti", dolcevita in cotone (quasi un ossimoro) e borsa del Mestre Film Fest, di cui sarò giurato nella sezione videoclip assieme a Oliviero Toscani e Luca Bassanese. La mensola dei libri vede accatastati esemplari misti tra i miei possessi e quelli di madre, ben più cospicui data l’inclinazione dell’anziana donna alla lettura; sotto, un letto appena fatto, abbigliato fantasia (tzè) e onorato della sosta di una penna usb da 1 giga. Questa stanza è sempre stata così, mai cosparsa di manifesti o altro.

A differenza della famigerata cameretta (foto a destra), ovvero il posto donde sto digitando. Nella parete di sinistra (sopra questo vetusto Acer che sta tirando gli ultimi sospiri) e in quella frontale che non si vede, facevano bella mostra di sé negli anni Novanta i ritratti di Alberto Tomba, Andreas Moeller, Paul Hewson aka Bono nonché svariati cimeli dell’AS Asiago Hockey, stecche comprese. Il repulisti materno fu ultimativo. All’oggi si possono contemplare: sulla presente scrivania, il telefono in dotazione da Vodafone coi punti One (peccato ci metta una cifra a far scrivere i messaggi); al muro, la targa che onora il quarantennale servizio di mia madre alla propria azienda cooperativa; libreria cubicolare con ai vertici i pupazzi della mia collezione 1974 (Gigetto, l’orso giallo del battesimo)-1979 (la pecora Bianca, il cane Billi, la cagna Lilli. Nessuno mi chieda come ho fatto a distinguere il sesso dei due pupazzi di forma canide). Poi ancora il bragozzo clodiense sopra l’armadio, tomi e opuscoli di varia foggia e considerazione, francobolli, cd vergini, floppy storici, schede di ricamo di madre e storie del partito comunista italiano. Per tacere di enciclopedie mediche, volumi celebranti la storia della Juventus FC 1897, dizionari devoti e imprecisati numeri di Blow Up, Losing Today, Mucchio Selvaggio, Vernacoliere, Guerin Sportivo degli anni ruggenti. A riempire spazi buchi, i feticci di gomma del corvo Rockfeller piuttosto che di Calimero o Corto Maltese, ninnoli dell’est presi a qualche festa dell’unità, un pezzo del muro di Berlino, una scheggia di bomba della prima guerra mondiale rinvenuta sull’altopiano di Asiago, due frammenti di eruzioni laviche dell’Etna. E la foto della Lilli vera, in lardo, pelo e cattiveria: ma che continua a mancarmi tanto, quella stronza.

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