Senza titolo 98

Sentimento adriatico. Sono monotono, lo so. Però ogni volta che mi rapporto all’ambiente che mi circonda, o meglio: ogni volta che lo faccio non prendendone meramente atto, per non andarci a sbattere nei miei sovrappensieri, ma al contrario accorgendomene, esso mi sbalordisce e fa scaturire viaggi mentali più nel tempo che nello spazio. Succede così, quando la mattina torno dal padiglione ’14’ ("L’Italia in persona") all’infopoint della mostra, e cammino lentamente nei vialetti perimetrali di San Servolo. Fino al momento di entrarvi per la prima volta, avevo l’erronea percezione che quelle isole fossero lontane, tanto che il battello non ci attraccasse più. E invece la linea 20 collega questa terra emersa, e l’adiacente, byroniana San Lazzaro Degli Armeni (reminiscenza di una gita ai tempi delle medie, che a noi classe di discoli non portavano a Parigi o Praga) al molo di San Marco, a intervalli regolari di circa mezz’ora, per un viaggio di dieci minuti che costeggia San Giorgio e la Fondazione Cini, vira al largo dei Giardini di Castello, segue come faro l’installazione di Plessi sulla riva degli Schiavoni, e si torce diritta all’isola che appare bianca, là, a portata di mano. Ecco, tornando indietro dal magazzino, o da "Love difference", uno volge lo sguardo a sinistra, e dalle larghe feritoie vede il paradiso terrestre. L’acqua calma, solcata da pochissime barchette private o raramente da una minicrociera turistica organizzata per madrelingua tedeschi; San Clemente a sinistra, restaurata ancorché in disuso. Si parlava di adibirla a museo nazionale della psichiatria: infatti fu sede del manicomio femminile, così come San Servolo di quello maschile; gli archivi presenti in isola chissà quali abiezioni parascientifiche nascondono. Davanti si stende La Grazia, piena di verde, già ospedale per bambini e reumatici, prima ancora lazzaretto di una delle tante pestilenze. E oltre, ben visibile, il fondo della Giudecca, i rimessaggi nautici di San Giorgio, le cupole della Salute, i campanili della Piazza e di San Francesco della Vigna, della Bragora e di San Zaccaria. Dietro, il Lido, la scritta Campari e quella Casinò che in questo momento starà brulicando di attricette e stargazers. Eppure, al centro di tutto ciò, sta l’Isola. Piatta, calma, colta: vi interagiscono la Venice International University e la Provincia, che ne ha proprietà; è sede di convegni, workshop, seminari internazionali. E’ la cosa più vicina a un campus, per il verde, per l’atmosfera, manca solo una college radio… (che se me la lasciano fare…). E pensare che a dieci minuti da ogni punto cardinale o quasi c’è la rutilanza dei souvenirs, dei magliettari, dei ristoratori senza scrupoli da una parte; dei badge penzoloni dall’altra. Ci fosse un teletrasporto per evitare tutto, area marciana e finta mondanità, e all’uscita fiondarsi direttamente in quei due o tre posti all’interno di Rialto, in calli poco battute dai non veneziani, come la rinascimentale Cantina Do Mori, e i più recenti I Storti, La Ciurma, il Marcà, il solito Bancogiro

The fool on the Hill. "Collina è un grandissimo arbitro, Collina ci fa fare bella figura nel mondo, è autorevole, è onesto". No, Collina è uno che di mestiere fa altro, ed è il primo caso di visibilità planetaria in positivo di un arbitro. Collina ha lo sguardo da ducetto, vedi Gazzetta di ieri. Collina ha troppo potere. Per Collina cambiano le leggi, italiane ed europee. Come se prima di lui non ci fossero stati Michelotti, Agnolin, il probo Menicucci che rifiutò l’orologio. Collina sta coi forti. Tranne in un caso. Collina fece rimbalzare il pallone, esso non rimbalzava, ma si giocò. Tieni a mente, Galliani. Che ad Ascoli il pallone rimbalzava. E a Perugia rimbalzava (alla romanesca) solo Collina. Collina imbestialì il Penzo coi due rigori a Montella oltre il tempo massimo. E imbestialì San Siro convalidando e annullando il goal di Ganz alla Juve. Collina detta le sue condizioni. Per Collina si fanno appelli.
Ma vaffan****, noi del calcio all’antica non ti rimpiangeremo.

Dalla Svezia con invidia. Non bastassero la naturale predisposizione, le bionde, la civiltà, Zlatan, e le foto di Enzo e Lucio (by the way, c’è anche la raccolta "definitiva" su Urbino!) a farci amare ancora di più l’ambiente svedese; scopriamo che una marca di vestiti regala in download una compila colorata e pop, indie e fresca, girly e istantanea: tutto qua, tutto qua. Magari di qualcuna di quelle band sentiremo parlare…
–era tempo che non la menavo con la Scandinavia e l’indie-indiepop dot tk, non rompete, su 🙂


Mamma, che ne dici di un canadese a Verona? Tra i Fiorio preferisco quello buono, Max. Egli supporta il downloading e *noi* supportiamo la sua nuova band. Le due cose non sono consequenziali: come sa chi legge sovente queste pagine, non parlo mai di uscite musicali o artistiche che non mi piacciono, neanche quando provengono da amici -e bene lo sa la sedicente scena di Chioggia. Massimo è un amico, sì, ma soprattutto un cestista prestato al calcio e un poliedrico suonatore, produttore e organizzatore. Se è vero che fra i miei preferiti stanno ancora i grandaddyani Bosvelt e i lirici Slumber, certo questi nuovi Canadians ci hanno messo poco ad affiancarsi: la summa di cosa può essere l’indiepop, sia nella melassa(TM) di ‘Get wise‘, come nell’incedere cadenzato della newyorkese ‘A long lethargy’, e certamente nella bosveltiana ‘***‘, pezzo senza titolo nel cuore del disco. Aprono e chiudono due inni per pochi come ‘Find out your 60s’ e la titletrack, che rivelano in un colpo solo tutti gli ascolti dei loro performer. Le sei tracce dell’ep "The north side of summer" (titolo che paga dazio alla curva del Chievo?) sono perfettamente coerenti a se stesse nella loro innocente disomogeneità, entrano in subitanea sintonia con chi bene si predispone -e in Italia succede a pochi, di non apparire falsi o forzati- e godono di una delle copertine più belle viste in giro ultimamente. Se solo fossero un po’ meno simili agli Yuppie Flu…

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